mercoledì 3 gennaio 2018

Spelacchio al museo? Non c’è pace per l’abete certificato che suo malgrado ha fatto ridere il mondo

Povero Spelacchio. Non c’è pace per l’abete natalizio salito alla ribalta delle cronache di tutto il mondo per la brutta figura della giunta pentastellata a guida Raggi. Al di là degli esiti giudiziari, la sindaca, secondo articoli di stampa, starebbe pensando entro l’Epifania di farlo finire in un museo, opportunatamente trattato allo scopo. Mentre anche la Corte dei Conti sta valutando ipotesi di danno erariale, l’albero destinato alla discarica o meglio al compostaggio potrebbe essere dirottato in una struttura museale. Era partito in buona salute dalla Val Di Fiemme. Un “albero” con tanto di certificato. Su di lui si sono spese fiumi di parole. A sostenere questo esemplare era sceso in campo il 18 ottobre anche il PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), un’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC. Forse saranno tra i testimoni anche nei tribunali. “L’albero – scriveva Antonio Brunori, segretario generale PEFC Italia - presenta oggettivamente dei traumi, tuttavia è necessario fare chiarezza su alcuni elementi e caratteristiche della pianta, per evitare di semplificare un tema delicato come quello della cura degli alberi e della gestione sostenibile delle foreste di provenienza”. In linea con l’umanizzazione dell’albero l’organizzazione intendeva smontare alcune falsità e raccontare “chi fosse davvero Spelacchio”.
In primo luogo Spelacchio non è un larice che perde foglie d’inverno ma un abete rosso (Picea abies), specie alpina sempreverde, i cui aghi non cadono durante i mesi più freddi". Sfatata anche la questione dell’assenza di radici. “Gli abeti di queste dimensioni – scriveva Brunori - sono sempre tagliati, non avrebbe alcun senso estirparli per ripiantarli poiché non attecchirebbero e avrebbero bisogno di un vaso di dimensioni improponibili. Per questo motivo, vengono fissati ad un supporto a terra”. Quanto all’“ecologia” degli alberi finti Brunori replicava “Gli alberi di plastica derivano dal petrolio e devono poi essere smaltiti come rifiuti speciali. Gli abeti “finti” sono erroneamente considerati i migliori per tutelare il nostro patrimonio boschivo ma in realtà – secondo uno studio di Coldiretti - i cinque milioni di alberi finti che vengono in media acquistati ogni anno emettono gli stessi gas di sei milioni di chilometri percorsi in macchina”. Ed ancora “ il taglio di alberi di questo tipo viene sempre eseguito in modo responsabile e rispettando i ritmi naturali di crescita. La pianta viene scelta tra quelle mature, quelle in sovrannumero e seguendo dei piani di gestione del bosco o della foresta a cui appartiene, in questo caso quello della Magnifica Comunità della Val di Fiemme (in Trentino). L’albero di Piazza Venezia viene da un bosco certificato per la sua gestione sostenibile secondo due standard internazionali, cioè FSC e PEFC. Gli abeti che invece vengono collocati in casa provengono obbligatoriamente da vivai o da aree ad essi dedicate in aree ad economia marginale, come le aree interne dell’Appennino. La scelta sostenibile quindi è far sì che i soldi vadano a chi gestisce la montagna piuttosto che a trasformatori di plastica spesso in altri continenti”. Falso anche il fatto che Spelacchio fosse “una pianta che faceva fare brutta figura alla Magnifica Comunità di Fiemme. Per questo l’hanno data via!”. “La pianta – spiega ancora Brunori - era ricca di rami e aghi ed il proprietario l'aveva scelta per la sua bellezza, come per anni l’ha già fatto per piazza Venezia di Roma. Oltre ad una possibile rovina dovuta al trasporto forse incauto, è probabile che la pianta fosse stressata per la siccità che da 12 mesi ha colpito tutta l'Italia‎ con piovosità ridotta al 50 per cento (gli aghi di piante in queste condizioni cascano più rapidamente dopo il taglio)”. “La serie di notizie errate o superficiali provenienti anche dal mondo accademico, che hanno sommerso Spelacchio - - ammonisce del PEFC Italia - sono la testimonianza, ancora una volta, della necessità di affidare la gestione delle foreste e delle alberature solo a chi sia veramente esperto in materia . Siamo ormai troppo abituati a vedere perfezione nei negozi e sui social network, da non renderci conto che la natura è spesso imperfetta e che va protetta e difesa, dalla cura nel trasporto di un abete alla lotta ai cambiamenti climatici”. Graziarosa Villani RIPRODUZIONE RISERVATA

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